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Pietro Della Valle e l’Arte della Scagliola

Pietro Della Valle (Livorno 1819 – Firenze 1880) fu un pittore, decoratore, paesaggista, maestro di pittura, fratello dell’architetto Angiolo e del pittore Giuseppe, proviene da una nota famiglia di artisti livornesi. Imparò la lavorazione della scagliola dal padre, questa raffinata tecnica ad intarsio che imita marmi e pietre dur, mescolando gesso, colle naturali e pigmenti colorati.per realizzare piani di tavoli ed altri raffinati arredi. Pietro aprì una bottega artigiana (dal 1838 con il fratello Giuseppe) la cui produzione fu caratterizzata dalla particolare tecnica raffinata e traslucida, venne molto apprezzata anche a livello internazionale, grazie all’apprezzamento dei suoi lavori da parte dei viaggiatiri del Grand Tour.

cornucopiePietro Della Valle creò oggetti di grande pregio prediligendo soggetti storici e paesaggistici, riccamente ornati come il tavolo con storie della vita pubblica di Colombo, esposto a Firenze nel 1860. Sua prerogativa era l’inserto nella spartizione geometrica del piano di una cornice intorno ai suoi paesaggi; a volte di gusto bucolico, altre volte con vedute cittadine e monumenti della classicità.

Le sue opere sono presenti in importanti collezioni  private e grandi musei, come il Los Angeles Country Museum of Art.

Ma come è possibile ottenere queste colorazioni e queste sfumature con un’impasto? Osservando la decorazione del piano notiamo che è composto dalla cornice esterna in scagliola e dal dipinto centrale; la cornice esterna è stata realizzata utilizzando la scansione del susseguirsi delle quattro coppie di cornucopie nella figura sovrastante. Stupisce di loro la qualità dei toni cromatici delle sfumature e del gioco delle ombre, dove non è possibile capire qual è il confine tra l’uso sapiente dell’impasto (meschia) e l’uso del colore.

La cornice esterna è stata realizzat quindi utilizzando per quattro volte l’impiego del medesimo cartone per lo spolvero con l’inserto di quattro deliziosi uccellini.

 

 

Cardellino

 

 

La produzione della scagliola fiorentina ebbe inizio nella prima metà del Seicento, quando i manufatti in stucco marmorizzato furono impiegati come versione più economica del contemporaneo commesso in pietre dure. Nel corso del Settecento, invece, la scagliola si emancipò da questo impiego e si aprì a nuove possibilità espressive diventando un vero e proprio genere pittorico abbandonando l’imitazione della tarsia lapidea raggiungendo i contrasti chiaroscurali propri della pittura.

Nel primo Ottocento si inaugurò una fiorente stagione della scgliola prodotta da artigiani altamente specializzati che portarono la lavorazione ad un alto grado di raffinatezza adottando come soggetti figurativi i paesaggi ed i temi storici tanto cari alla sensibilità romantica. Tra gli artisti operanti a Firenze molti erano di origine livornese, tra cui spiccano i fratelli Della Valle. Sempre nell’Ottocento è l’istituzione a Firenze della cattedra dell’Accademia.

L’arte della scagliola deriva dalle tecniche di lavorazione dello stucco, il quale fin dall’antichità, è stato spesso utilizzato per sostituire ed evocare materiali più preziosi. Con la scagliola, in particolare, si ottiene un tipo di stucco che permette di imitare perfettamente il marmo e le pietre dure.

Le motivazioni del suo uso sono intuibili: era facilmente reperibile, si lavorava agevolmente abbreviando i tempi di esecuzione, era relativamente economica e permetteva di rinnovare e valorizzare un manufatto preesistente.

Gli ingredienti fondamentali che costituiscono la meschia, ossia il gesso (selenite), acqua di colla e pigmenti naturali non sono mai cambiati e solo con l’utilizzo di questi si può parlare di vera e propria lavorazione della scagliola. Il materiale utilizzato per i lavori in scagliola è una varietà di gesso (solfato di calcio biidratato) caratterizzata da una struttura a cristalli lamellari che si presentano sotto forma di scaglie trasparenti.

Le caratteristiche principali di questo tipo di gesso sono la grana compatta e fine, la trasparenza e la lucentezza. Per queste sue doti, i greci lo usarono al posto del vetro e lo chiamarono selenite. La selenite per essere utilizzata nella meschia ( da mescolare) deve prima esser cotta in forno a 128° in modo tale perde tre quarti dell’acqua di ricristallizzazione e si trasforma in solfato di calcio semiidratato. La scagliola essiccandosi ritorna molto dura e compatta, anche se rimane un materiale fragile se sottoposto alle intemperie.

I collanti usati in passato per ritardare l’indurimento della scagliola e conferire maggiore elasticità all’impasto potevano essere diversi, ma il più usato era sicuramente quello che nei ricettari è definito “colla tedesca” (o colla forte, o colla madre).

Doveva rimanere immersa in acqua per almeno 24 ore e quindi essere sottoposta a bollitura a fuoco lento per circa tre ore. Opportunamente miscelata con acqua, si creava quella che veniva definita “acqua di colla”, che non era pura ma molto diluita.

I pigmenti usati per la colorazione dell’impasto devono essere compatibili con il gesso e resistenti alla luce. Tradizionalmente i pigmenti usati per la colorazione della meschia possono essere classificati in minerali (naturali o artificiali); organici naturali (animali e vegetali); organici artificiali. I colori fondamentali per la scagliola, soprattutto quella delle origini, sono il bianco ed il nero. Il primo, tradizionalmente, si ricavava dal gesso alabastrino o dal titanio; il nero, invece, può derivare dalla calcinazione dell’avorio, dalla carbonizzazione della vite oppure dalla combustione di sostanze organiche. Per gli altri colori si usano sempre pigmenti minerali (solfuro di mercurio per il rosso, ossidi di ferro per il giallo ocra, alluminato di cobalto per il blu, carbonato basico di rame per il verde).

Dopo essere stato cotto in forno, il gesso ormai polverizzato viene ulteriormente pestato in un mortaio e setacciato accuratamente onde evitare grumi e fino ad ottenere una polvere bianca finissima (oggi la scagliola è prodotta industrialmente ed è possibile trovarla già pronta).

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La veduta pittorica centrale ritrae Palazzo Vecchio e la Loggia dei Lanzi animate da una moltitudine di personaggi e carrozze quasi a ritrarre un momento ordinario della vita cittadina. Presumibilmente è stato realizzato dal Fratello, Giuseppe della Valle in quanto nella firma sulla sinistra compare la firma Pietro Della Valle Fam. 1847 nella quale pensiamo che Fam. sia l’abbreviazione di famiglia volta ad indicare la collaborazione del fratello.

Il dipinto mostra della craquelure naturale dovuta al ritiro della meschia ed una minima puntinatura grigiastra nella parte destra della pitture ed in particolar modo nel cielo. Abbiamo provato dei piccoli assaggi in laboratorio per procedere al ritocco ma l’operazione si presenta compromettente per la salvaguardia del dipinto stesso, in quanto per rimuovere la vernice a finire preesistente dovremmo utilizzare degli agenti troppo aggressivi.

In definitiva non possiamo che ritenerlo assolutamente particolare per la straordinaria qualità esecutiva, per il buono stato di conservazione, per l’essere un’opera certa e non semplicemente attribuita a Pietro della Valle oltre alla certezza della sua datazione.

A conferma di questo, si veda un raffronto con un’opera simile, se non altro per la veduta pittorica, presente nella collezione del Museo Bianchi di Pontassieve (Firenze).

 

 


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